Quattro anni di... - Archipelago

Association of Italians in The Philippines
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Abbiamo ricevuto, fra altre, la richiesta di aiuto di Salvatore Orsini, un Italiano che vittima dei propri errori,  ha successivamente pagato il proprio conto con la giustizia Filippina scontando ben 4 anni di carcere.
Incontratolo in privato, Salvatore Orsini affronta la nostro conversazione senza peli sulla lingua, senza giustificazioni e con disarmante schiettezza. A noi che non lo conoscevamo ed ignoranti della sua esperienza, esordisce in questo modo: prima di ogni altra cosa la informo che sono stato 4 anni in galera nelle FILIPPINE  e sono nuovamente libero da soli 2 mesi.
Ci colpisce subito la posizione in cui Orsini si colloca nel raccontarci la sua storia, niente vittimismi, niente critiche alla decisione della giustizia, niente parole di difesa ma sopratutto la consapevolezza che chi sbaglia deve pagare e lui cosciente di questo intende, dopo aver pagato il suo conto, avere la possibilita` di incominciare una nuova vita e per questo, oltre ad altri,  chiede anche il nostro aiuto a trovare un lavoro.
La sua storia ci colpisce, il suo racconto scorre liscio, veloce e senza indugi sulle parole da usare, quello che ci deve dire è una semplice verità  che non ha bisogno dell’elaborazione di pensiero prima di essere raccontata, percepiamo subito che il vero interesse cui va perseguendo va nella direzione del lavoro e solo attraverso il lavoro potrà  ritrovare dignità e sostegno ai suoi obiettivi.
Ci colpisce il suo continuo senso di colpa per non aver potuto proteggere i propri figli, ci colpisce inoltre il fatto che non menziona nemici, ma ringrazia tutti per gli aiuti ricevuti, ci stupisce infine la forza d’animo nel voler ricominciare una vita nuova e dignitosa a sessantuno anni, però come lui auspica, non in Italia ma bensì nelle Filippine dove lui si sente come a casa sua dopo 36 anni di permanenza, pur avendoci trascorso 4 anni di carcere.
Ed allora ci siamo chiesti, come potremmo aiutare Salvatore Orsini, siamo consapevoli che quando qualcuno esce di galera tende ad essere processato e giustiziato una seconda volta da una società a volte cieca ed ingrata, spesso superficiale se non snob. Ma non sempre è cosi, esistono per fortuna nel mondo le persone, le persone vere, quelle che comprendono, quelle che hanno un`anima ed una coscienza, ma sopratutto quelle che hanno un cuore.
Per poterlo aiutare e rendere pubblica la sua richiesta, abbiamo esplicitamente chiesto ad Orsini di scrivere la sua storia dei quattro anni trascorsi in carcere, richiesta che lui ha immediatamente accolto e senza indugi ci invita a farne l’uso che secondo noi riteniamo sia utile alla sua causa.
Ci accingiamo pertanto a pubblicarla sia sulla nostra Newsletter che sul nostro sito web(www.archipelagoforyou.com) e sulla nostra pagina FB, con l’auspicio che anche voi, come le persone vere, possiate conoscere ed apprendere cosa significa stare in un carcere, quali possano essere le relative frustrazioni, i dolori, le sofferenze ed il sacrificio che un individuo comune prova in tale esperienza.
Ci auguriamo pertanto, che anche voi come noi possiate individuare aspetti positivi di tale storia e che, grazie anche alla vostra sensibilità, si possano sprigionare energie e sinergie  affinché Salvatore Orsini  possa  trovare quella condizione che tanto cerca e supplica nella sua vicenda.


Manila 5 giugno 2017
F.to il PRESIDENTE
Giordano GALANTE

Ho 24 anni e sono invincibile.

Un giorno decido di visitare le Filippine e trovo il mio Paradiso, una terra tanto selvaggia quanto ospitale.
Mi innamoro del posto e di tutte le magie che questo arcipelago offre.
Decido di restare ed avvio un ristorante insieme a mio fratello e le cose cominciarono ad andare bene. Ho poco ma ho tutto quello di cui ho bisogno.
Sono giovane, spensierato, ed il mio futuro è qui adesso, l’energia e la mia vitalità mi accompagnano.  Non mi preoccupo delle conseguenze per alcune mie leggerezze
Un brutto giorno del 1994, affronto un altro foreigner, un tedesco che come me si sente padrone dell’isola, ma dimentico presto questa storia, io seguo la mia strada e le cose vanno bene, ho il mio Paradiso.
Incontro una donna, il suo sorriso mi prende il cuore, mettiamo su famiglia e viviamo felici. Ora abbiamo 4 meravigliosi bambini .
Ho ancora il mio Paradiso, fino al giorno in cui vivo una la peggiore esperienza della mia vita.
Una esperienza che segnerà tutta la mia vita, una storia piena di angosce, tormenti e dolori, momenti pieni di paure e umiliazioni, una via crucis di quasi 4 anni.
Inizia il 26 dicembre 2013, il giorno dopo Natale, giorno in cui sono stato tratto in arresto nella città di Zamboanga (Mindanao), dalle locali autorità Filippine addette all’immigrazione, con l’accusa di “overstaing”, ovvero permanenza nel territorio Filippino senza visto per un periodo troppo lungo.
Dopo l’arresto vengo subito trasferito nella prigione dell’ufficio immigrazione nella città di Davao (Mindanao), mi ritrovo improvvisamente in una situazione confusa e disperata, colto da una tristezza indescrivibile peggiorata dal non sapere quando e come potrò prendermi ancora cura dei miei quattro bambini, Salvatore Paolo jr. 14 anni, Maria Bonaria 12 anni, Smeralda 6 anni e Sofia 1 anno, tutti residenti nella città di Osamiz-Misamiz occ. (Mindanao)
Una quotidiana tortura mentale mi affligge e continuo a chiedermi come potranno sopravvivere quelle quattro creature senza il mio supporto, il mio aiuto ma soprattutto crescere senza la mia presenza.
Arrivo in prigione a Davao, una piccola stanza con 6 letti a castello, un bagno comune.
Siamo in 5 detenuti, tutti stranieri, stiamo tutto il giorno chiusi, ci danno il cibo 3 volte al giorno, buono non c’e` che dire, possiamo usare il cellulare e sono tutti i giorni in contatto con i miei bambini.
Al momento non ci sono soluzioni per essere libero, devo solo aspettare il trasferimento per Manila ove le autorità competenti prenderanno delle decisioni in merito.
Sempre fra le preoccupazioni ed avvolto in un manto di tristezza i giorni passano, il trasferimento per la prigione di Bicutan (Manila) arriva il 6 marzo 2014.
Alle 6 di sera sono a Bicutan, una prigione non troppo grande, però tranquilla, siamo all’incirca 150 detenuti, quasi tutti stranieri, una carcerazione che potrei definire “umana” rispetto a quello che mi accadrà più avanti.
Siamo fuori cella dalle 6 del mattino fino alle 9 della sera, anche qui ci danno da mangiare 3 volte al giorno, non si sta proprio male, però la solitudine, la distanza dai miei bambini e la malinconia si fanno subito sentire.
Mi affligge continuamente ed ossessivamente il pensiero alla mia famiglia, continuo a pensare quando e come potrò essere ancora libero, continuo a torturarmi nella ricerca di soluzioni, mi ripeto che devo essere forte che devo fare qualcosa, ho inoltre assoluto bisogno di guadagnare qualcosa per la mia sussistenza, ma molto di più per quella dei miei bambini.
Cosi con l’aiuto di un cittadino americano riesco ad organizzare un piccolo business, faccio pizze per altri carcerati ed inoltre fornisco piccole rivendite, la cosa funziona e sono in grado di spedire un po’ di soldi ai miei figli.
Riprendo ad essere meno teso a vedere le cose un po’ più speranzoso, chiedo quindi con mia espressa volontà essere deportato in Italia, pensando che quando sarò li potrò trovare soluzioni più valide ed agevoli per il mantenimento dei miei figli.
Mi sembrava che questa fosse l’unica soluzione plausibile per essere libero subito e nel contempo valida alternativa alla situazione complicata in cui mi trovavo.
Dopo aver inviato la mia richiesta all’ufficio legale rimango in attesa di una risposta, i giorni passano e la mia richiesta viene rifiutata, mi informano altresì che è stato rilevato a mio carico un caso criminale avvenuto nel 1994 a Puerto Galera, ove fui processato e condannato in contumacia a 3 anni di carcerazione con l’accusa di “frustrated homicide” e che la parte lesa era un cittadino di nazionalità tedesca.
Tale notizia mi ha completamente distrutto, mi ha tolto forze e speranze, mi son detto….ecco questa è la mia fine! Non ho più alcuna speranza di essere libero, 3 anni di galera è un tempo troppo lungo, non so se resisto, mi chiedo ancora una volta cosa faranno i miei figli, chi si prenderà cura di loro non essendo più io quel Padre ancora in grado di dare a loro sostegno, vedo svanire la mia dignità ed il mio futuro a causa dei miei errori del passato.
Questo dolore mi uccide, non ho il tempo di riorganizzare le mie idee, il giudice di Calapan City firma il mio trasferimento, vengo trasferito nella prigione provinciale di Calapan City (Mindoro orientale), in attesa del trasferimento per un luogo ignoto.
Sono ancora giorni di angoscia, il pensiero di dover andare in una galera dove sono tutti delinquenti comuni mi preoccupa, mi sembra tutto un incubo, ancora una volta mi chiedo cosa mi accadrà, cosciente che oltre a non sapere cosa mi potrà succedere mi rendo conto che anche il non avere niente, sotto forma di sussistenza finanziaria, sarà un altro vero problema, non ho più niente, ho perso tutto, ho perso il mio Paradiso. Davvero penso che sarebbe meglio chiudere gli occhi e non aprirli più.
Di nuovo i giorni passano e l’ordinanza del giudice per il mio trasferimento arriva il 16 ottobre 2014 e io sono pronto ad affrontare il carcere vero ove dovrò scontare la mia pena.
L’Ambasciata Italiana arriva in aiuto e mi da un aiuto finanziario di 5000 pesos, sono gli unici soldi che ho e grazie a Dio, tale cifra mi sarà di grande aiuto.
Partii con l’ansia ed un tremore che invadeva il mio corpo, arrivai cosi alla mia terza prigione, un luogo dimenticato da Dio, molto affollato, siamo circa 500 carcerati, tutto è proibito, puoi solo avere i tuoi vestiti, usare il cellulare ed è proibito fumare.
Vengo messo nella cella numero 01 con 80 detenuti, mi chiedo subito dove sono finito, in che macello sono capitato, una ammucchiata di carcerati, una accozzaglia di persone obbligata a stare in una cella dove non ci sono letti per dormire, alcuni individui sono seduti a terra altri invece stesi sul pavimento, sul lato un bagno senza porta, con tazza in vista, ove tutti fanno i propri bisogni sotto lo sguardo disgustato di altri carcerati, senza la minima condizione di pulizia e di privacy.
Nessun modo di fare diversamente, conseguentemente pure io ho dovuto adattarmi a tale situazione e nonostante fossi una bestia comune alle altre, provavo un gran senso di vergogna!
Realizzo solo verso sera che non ho un posto per dormire e come altri devo dormire sul pavimento.
Una condizione molto difficile per tutti ma essendo io unico detenuto straniero in tutta la prigione non trovo alcun appiglio e senso di solidarietà, mi sento male, ho dei brutti presentimenti, ho paura di essere maltrattato, non so cosa mi accadrà.
Il terzo giorno di galera il Mayor della cella mi chiama e chiede informazioni sul mio caso, chiede dove vivo, se ho famiglia e se ho qualcuno che mi potrebbe far visita, gli ho risposto che oltre alla mia famiglia, che ahimè vive troppo lontana, a Mindanao, ho solo un fratello, che vive a Puerto Galera.
Il Mayor mi dice che se voglio avere un letto ed avere qualche piccolo privilegio come ad esempio poter fumare ed usare un bagno in privato, mi costerebbe 2000 pesos al mese, ho accettato immediatamente ed inizio a vivere in questa nuova condizione, dovrò rimanere in questo posto per 3 anni, non credo che ce la farò se non pago.
Non ci penso troppo ed evito di continuare a tormentarmi, ora però diventa importante cercare degli aiuti specialmente per sostenere la mia nuova condizione di “privilegiato”.
Contatto telefonicamente tutte le persone che conosco e che potenzialmente mi potrebbero aiutare ma purtroppo intorno a me si era già formato il deserto, niente, nessuno aiuto, solo mio fratello Claudio decide di mandarmi 2000 pesos al mese per poter pagare il mio status di VIP ma per quanto riguarda i miei figli sono inerte e non posso fare niente per loro, posso solamente pregare Dio perché essi riescano a sopravvivere senza di me…. Dio…….Dio……
Tutte queste circostanze, mi hanno reso depresso, al limite della disperazione, però il tempo passa e riesco a procurarmi qualche sigaretta che fumo con vera parsimonia, infatti i fornitori di sigarette all’interno del carcere si fanno pagare ben 10 pesos per una sola sigaretta. Trovo qualche piccolo momento di relax quando mi posso permettere una fumatina, resisto mi faccio forza e ci si avvicina cosi al Natale.
Questa è l’unica celebrazione che tutti i detenuti aspettano per stare insieme ai propri cari, due giorni di celebrazioni in cui tutti sorridono, ricevono piccoli regali, si mostrano foto e raccontano storie, ma per me non è cosi, non c’è festa così solo e lontano dai miei bambini, trascorro quei giorni pregando per loro perché possano essere spensierati e felici…..che sofferenza!
Queste preoccupazioni, associate alle mie frustrazioni interiori mi hanno reso fragile e malato, i giorni passano e io mi sento sempre più debole, ho bisogno di cure e medicine che però nessuno mi può dare, non ho più nessuno vicino, mi sento abbandonato come derelitto trasportato dall’onda degli eventi. Non sono più invincibile.
Prego Dio di farmi resistere ed a marzo 2015 ricevo la visita inaspettata di una conoscente, una cara amica di Manila, la quale saputo della mia situazione, è subito venuta a trovarmi, mi ha dato tanta forza sapere che qualcuno mi pensasse e che ancora si ricordasse di me.
Grazie al Padre mio Onnipotente, questa visita si è rivelata un miracolo, il solo pensiero che qualcuno fosse a me interessato, mi ha dato forza nel credere ancora nelle mie possibilità, mi ha ridato la speranza che un giorno sarò libero, e come se non bastasse “l’angelo” in questione mi ha promesso un aiuto mensile fino al giorno in cui sarò libero, ogni 4 mesi viene a farmi visita, per portarmi ciò che è permesso e che può essermi utile in galera.
Fu questa la prima cosa positiva  in tutti questi giorni trascorsi tra lacrime e dolori.
La vita continua e la mia salute però non migliora, informo l’Ambasciata Italiana di Manila delle mie precarie condizioni, chiedo un aiuto finanziario per comprare le medicine, la mia richiesta viene ascoltata e ricevo un nuovo aiuto con un contributo di 5000 pesos. Oltre alle medicine però, il medico esegue anche una serie di esami, dai quali si evince un’ernia inguinale, viene cosi stabilito che occorre intervento.
Il 3 luglio 2015, l’operazione sarà eseguita all’ospedale provinciale di Calapan City (Mindoro orientale).
Per tale intervento non sono sufficienti i soldi ricevuti dall’Ambasciata Italiana, chiedo cosi aiuto finanziario al Governatore il quale accoglie la mia richiesta e conseguentemente il governo Filippino mi assiste in tutto.
Vengo operato e grazie a Dio Onnipotente, tutto è andato bene, sono stato assistito dalla mia amica nei 2 giorni di degenza ospedaliera, la sua presenza mi ha dato un gran conforto, inoltre l’Ambasciata Italiana mi ha inviato un ulteriore aiuto con un contributo di 5000 pesos con i quali potrò provvedere all’acquisto di farmaci post operatori.
Percepisco della positività, mi dico che devo essere forte per poter tornare dai miei bambini che sono l’unica ragione della mia vita, ma sono di nuovo in galera, tutto torna come prima,sono sempre in cella evito tutto e tutti, non voglio compromettermi.
Ho paura di essere contaminato da invasioni di virus e batteri, ci sono tanti malati, qui è troppo caldo e troppo pieno di insetti, molti detenuti hanno evidenti malattie cutanee, infezioni polmonari, infezioni urinarie…..
E’ una catastrofe, mi trovo fra decine di persone malate e portatrici di malattie contagiose, molto spesso trasmesse tramite cibo contaminato dovuto alla mancanza di igiene e alla più semplice prevenzione di profilassi.
Nonostante le mie precauzioni anche io mi ammalo di UTI (urinary tract infection) ed ho dolori renali.
Sono stato colpito da questa malattia brutalmente e per troppo tempo non l’ho curata, non posso muovermi, sto a letto tutto il tempo e faccio pipì in una bottiglia in quanto non ho forze per alzarmi, se necessito invece defecare, i compagni di cella mi devono sollevare e portare nel bagno in quanto non riesco a reggermi in piedi da solo.
Tutto questo dura circa un mese, sino a quando il Mayor della prigione decide di farmi andare in ospedale per un controllo. Faccio tutte le analisi e mi confermano di essere affetto da UTI, ironia della sorte, rilevano inoltre una lesione lombo sacrale alla spina dorsale.
Dopo una terapia antinfiammatoria ed antibiotica mi sono ripreso e gradualmente guarito, ma su richiesta del medico devo fare altre terapie riabilitative specifiche e propedeutiche alle infezioni avute, per almeno due sedute alla settimana.
Ancora una volta il governo filippino viene in soccorso ed ottengo cure adeguate.
Siamo arrivati cosi al mese di ottobre, è già trascorso un anno da quando sono arrivato in questa prigione senza contare i dieci mesi passati prima nel carcere dell’immigrazione e grazie ancora al buon Dio onnipotente torno in buona salute.
Sono molto cauto e attento con il cibo e le bevande, evito tutti i pasti che la prigione mi serve e mi faccio comprare dalla mia amica degli alimenti sicuri onde evitare ricadute.
Lei continua a farmi visita, il mio angelo, verifica quello di cui ho bisogno e provvede, è una persona molto cara, gentile e nonostante abbia un lavoro impegnativo (supervisor alla San Miguel pure food corp.) trova il tempo per pensare a me ed alle mie necessità, mi è di grande aiuto e sollievo, non avrò mai parole sufficienti per poterla ringraziare.
Il tempo passa e si arriva nuovamente ad un nuovo Natale e Capodanno, è il terzo che passo da solo, devo essere forte anche se dentro di me il dolore si fa sempre più insopportabile, indescrivibile è la mia condizione psicologica, anche le lacrime sono finite. Cosa fare? Purtroppo questa è la mia situazione e questa è la mia condizione, devo solo resistere in tutti i modi, il tempo passa ma vorrei scorresse più in fretta, ho sempre il chiodo fisso in testa dei miei bambini, con i quali immagino di giocare e sorridere spensieratamente…….vorrei essere li con loro.
Siamo al mese di giugno 2016 improvvisamente il mio stato di salute si complica nuovamente, vedo doppio e poi perdo la vista (gross eye or gross vision), mio Dio non so che mi succede, passano due settimane e nessun miglioramento.
Decido di sottopormi ad un check-up presso un neurologo e chiedo di nuovo aiuto all’Ambasciata che, ancora, mi manda dei soldi, questa volta però sono 8000 pesos.
Il medico specialista mi visita, mi fa poi fare tutte le analisi e scopre che ho subito un leggero shock ad una vena del mio occhio destro, il medico dice che del liquido si è formato e che potrebbe procurare una infezione la quale potrebbe avere di conseguenza, più serie complicazioni.
Mi prescrive dei farmaci ed urgentemente fissa una data per fare un intervento, deve infatti estrarre del liquido dalla mia spina dorsale e stabilire a mo’ di paragone (scusate ma non ricordo più la terminologia medica) se il liquido prodotto e disperso nella parte superiore dell’occhio, ora localizzato su un’area superficiale del cervello, sia infetto oppure no.
Sono nuovamente molto preoccupato per la mia salute, ma contemporaneamente, quasi non me ne importa più di tanto, però al pensiero dei miei bambini che ancora hanno bisogno di me, trovo nuova forza interiore e decido di sottopormi a tale intervento.
La prima settimana di luglio sono in ospedale pronto per l’intervento, ma grazie a Dio, il medico nota un certo miglioramento presentatosi inaspettatamente ed in modo spontaneo, dopo alcune verifiche decide di non operare più e gradualmente sono tornato alla normalità.
Ringrazio Dio e le medicine che hanno fatto il loro effetto, quindi ritorno in galera questa volta però con un problema risolto.
Passano alcuni giorni ed il Warden mi chiama in ufficio, mi informa di aver deciso di trasferirmi in cucina per essere in un ambiente più confortevole e meno rischioso viste le mie vicissitudini sanitarie.
Vengo cosi trasferito in una nuova cella, siamo solo 22 detenuti ognuno di noi con rispettivo letto singolo, un grande bagno in comune, posso inoltre cucinare per me stesso, questo è un buon segno e veramente questa volta mi sento un “privilegiato”, soprattutto se penso che i detenuti nel carcere sono giunti a 900 unità e nella cella dove stavo io ora sono 130 contro i 90 alla data del mio arrivo…un vero macello!
Grazie a Dio sono libero di muovermi, posso andare dalla cella alla cucina ed in altre aree del carcere per 24 ore al giorno, quando prima stavo in cella numero 01 ero libero solo dalle 6 del mattino alle 5 del pomeriggio…tutto questo è un grande privilegio regalato dal Warden.
La vita continua e il tempo passa, però non è ancora finita, perché al peggio non c’è mai fine.
Siamo a settembre 2016 una terribile notizia mi giunge, mia figlia Maria Bonaria, nel frattempo divenuta quattordicenne viene violentata, Dio mio perchè?….Perchè? Mi sento morire dal dolore, ha solo 14 anni, sono impazzito, voglio scappare, non posso accettare questa notizia, è troppo dolorosa, mi sento colpevole, se fossi stato con i miei bambini questo non sarebbe successo li avrei potuti proteggere ed invece mi sento ancora più in colpa per non essere stato li, consapevole che proprio in tale momento di disperazione lei avrebbe urlato e supplicata la presenza del padre a difenderla, ed io dov’ero…? Dio mio cosa ho fatto per ricevere tutto questo, sono arrivato a 60 anni per soffrire tutte queste pene?
Desidero veramente morire, tutte le mie speranze per costruire un nuovo futuro, in particolare per i miei figli sono crollate, non ho più fiducia nella vita e nel genere umano.
I miei compagni di carcere fanno di tutto per farmi sentire meglio, cercando di darmi consolazione e comprensione, mi stimolano attraverso le loro storie, pene e sofferenze trasmettendomi nuova forza e coraggio per accettare tale situazione, e chi meglio di un carcerato può descrivere la cruda realtà della vita, mi lascio cosi persuadere. Lentamente, comincio a digerire questo boccone così amaro e ad accettare quello che il buon Dio ha riservato per me, mi riprendo, torno nella quotidianità del carcere ma il mio cuore e pensiero è sempre con i miei bambini ed in particolare a Maria Bonaria.
Arriva cosi il quarto Natale, l’ultimo da passare in galera, il prossimo lo farò con i miei figli e mi sento un po’ più sereno, anche la mia amica mi viene a trovare, mi porta un po’ di gioia Natalizia e si fa sentire partecipe nel dolore degli ultimi eventi.
Trascorse queste ultime feste mi arriva una chiamata dall’ufficio dell’amministrazione,  vengo informato che il Warden mi ha concesso uno sconto della pena di 8 mesi per buona condotta ed il giorno della mia scarcerazione è stabilito per il 16 febbraio 2017.
Che bellissima notizia, devo restare ancora un mese per avere la mia libertà, rivedere i miei figli e penso già a cosa potrò fare per ricominciare la mia vita insieme a loro.
Finalmente il fatidico giorno arriva, è però sabato ed il giudice non ha ancora firmato per il mio rilascio, devo attendere fino a lunedì, non importa, passo questi 2 giorni con i miei compagni di cucina e nella gioia festeggiamo.
Sento che la mia sofferenza sta per finire, sarò di nuovo un uomo libero.
Arriva il lunedì, il giudice del tribunale firma l’ordine per il mio rilascio, non posso però essere ancora scarcerato, altri residui ostacoli burocratici rischiano di vanificare le mie attese, infatti in concomitanza con la scarcerazione dovrò essere consegnato all’ufficio immigrazione di Calapan City, per ulteriori incombenze maturate con l’Immigration office.
Dio mio, mi metteranno nuovamente in galera? Questa volta per quale altro sconosciuto motivo? Non è ancora finito il mio calvario…? Sono di nuovo triste e depresso e le guardie mi scortano fino all’ufficio immigrazione di Calapan City.
L’ufficiale in carico rifiuta di prendermi in consegna e custodirmi, inoltre dice che non hanno celle disponibili e che comunque non è loro competenza occuparsi del mio caso, devo consegnarmi all’autorità dell’ufficio immigrazione di Manila in Intramuros, ma si rifiutano di darmi una scorta o accompagnamento, come andrò a Manila? Forse da solo, ricomincio a sperare, nuovamente in una giungla di se… e ma… ma forse mi lasceranno libero di andarci da solo.
Il Warden decide di prendersi la responsabilità e scortarmi personalmente sino a Manila anche se non è di sua competenza…che sfortuna potevo viaggiare da solo per Manila ed essere libero, si va cosi dal Governatore per chiedere i soldi per il viaggio per Manila, però la richiesta viene rifiutata, dicono che non sono più sotto la loro responsabilità e mi confermano che potrò andare a Manila da solo!
Questa è una notizia miracolosa, viaggio da solo, sono libero e mi reco così al porto dove mi imbarco per Manila, poi decido di stare dalla mia amica per assaporarmi un giorno di libertà prima di costituirmi all’Immigration di Intramuros.
Cosi fu, sono libero e trascorro una giornata felice in liberta`, vado in giro … bella sensazione, sono tra la gente comune e non più tra le sbarre!
Il tempo vola ed è già arrivato il momento di costituirmi alla sede centrale dell’Immigrazione in Intramuros.
Decido di andare prima dall’avvocato dell’ufficio Immigration (Board of inquirie) per un consiglio sulla mia situazione, il quale mi consiglia però di non costituirmi, dice che è meglio che mi sistemi prima con tutte le mie documentazioni e clearences con la NBI e di preparare il biglietto per l’Italia prima di costituirmi, in quanto mi sarà difficile preparare il tutto se ritornassi anche temporaneamente in carcere a Bicutan in attesa dei vari “clearences”.
Ritorno a casa della mia amica e le spiego la nuova situazione, con un grande sorriso mi dice che la sua casa è aperta per me e di stare sereno, penserà a tutto lei per ciò che mi occorre, mi dice “stai solo tranquillo ed evita ogni sorta di problema, provvederemo gradualmente alla sistemazione di quanto necessario”.
Cosi è stato e sino alla data odierna sono ancora a casa sua, ho informato i miei bambini che sono libero, sono felice e speranzoso di poterli vedere presto, in realtà non ho la disponibilità economica per andare a trovarli, spero però di poterlo fare entro il 15 giugno 2017 data presunta del parto di mia figlia Maria Bonaria, rimasta gravida a seguito della violenza subita.
Sarei molto felice poter esserle vicino in quel momento, visto che da padre non l’ho potuta proteggere prima, poter essere in futuro, per lei e per il suo bambino, il papà che non ha potuto avere negli ultimi quattro anni.
Questa è la mia storia, non mi resta che pregare il buon Dio affinche` mi aiuti a trovare un lavoro in modo da ritrovare la dignità di uomo, di essere nuovamente un uomo libero e padre responsabile per i miei figli.
Spero che qualcuno colga nelle mie parole un messaggio di redenzione e di speranza , che la mia storia possa essere di aiuto ad altre persone affinché non commettano errori che potrebbero portarli a perdere il loro Paradiso, e che la fiducia che ho nuovamente riposto in me stesso e nella societa`, possa continuare ad alimentare i miei sogni di Padre.
Ringraziamenti: la mia amica; mio fratello Claudio; il Warden; il Governatore di Mindoro; i medici che mi hanno curato; l’Ambasciata Italiana di Manila; l’Associazione Archipelago.
f.to Salvatore Orsini nato il 30/06/1956, residente nelle Filippine dal 1980.

Non servono molte parole da aggiungere a quanto sopra, certamente siamo felici che Salvatore Orsini sia nuovamente libero e che possa ora raggiungere i suoi amati figli e continui insieme a loro a perseguire sogni ed obiettivi che ha tanto desiderato durante la sua carcerazione.
Molto volentieri abbiamo pubblicato la sua storia, con l’obiettivo che qualcuno possa o abbia la capacità di poterlo materialmente aiutare offrendogli un lavoro come lui richiede.
Riteniamo che proprio per la sua umiltà ed onestà intellettuale meriti tale aiuto e come dicevamo in prefazione, Salvatore ha già pagato il suo conto, e` un cittadino Italiano che come noi ha deciso di vivere la sua vita nelle Filippine.
Accogliamolo nuovamente come accogliamo ogni nuovo connazionale che raggiunge questo paese……….
Benvenuto Salvatore Orsini!
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